La montagna è finita
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Uno spettacolo politico. Va in scena il 22 giugno a Anversa, il 23 a Gent e il 25 giugno a Bruxelles, grazie all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles.

Abbiamo intervistato Edoardo Ripano, regista teatrale e attore alla Ritz di Bruxelles. Tra pochissimi giorni andrà in scena il suo, La montagna è finita. Si tratta di un teatro documentario che racconta storie di uomini e di donne che hanno vissuto un momento molto tragico della storia italiana recente, una serie di terremoti che si sono susseguiti nell’appennino centrale tra l’estate del 2016 e il gennaio del 2017.

“Il cuore del contenuto dello spettacolo – ci spiega Ripani – è prioprio raccontare un luogo, che è il luogo appunto dell’Appennino centrale, in particolar modo dell’appennino marchigiano e anche umbro, che appunto è stato toccato dal terremoto tra il 2016 e il 1027. Quindi raccontare questo luogo e raccontare le sue comunità, in chiave documentaristica, quindi partendo proprio da storie, da fatti, da immagini e quindi partendo dalla realtà”.

Da dove nasce, forse c’è anche un bisogno personale che sta dietro questo spettacolo? 

“Sicuramente il bisogno personale è sia legato alla regione di provenienza, io sono di San Benedetto del Tronto e idealmente nello spettacolo che si configura come una sorta di viaggio proprio verso le zone del terremoto, a partire da San Benedetto del Tronto, che è la mia città e che era però anche la città di mio padre. Nello spettacolo il discorso personale si lega anche a un fatto molto personale, cioè alla perdita di mio padre che è avvenuta nel giugno del 2017, pochi mesi dopo aver scorperto, nel gennaio del 2017, di avere un cancro ai polmoni. In qualche modo io associo questi due lutti, due perdite, due traumi, due terremoti, uno fisico e uno metafisico, quindi appunto ciò che è successo nelle montagne del centro Italia e la perdita e la malattia e la morte di mio padre: questo è il punto di partenza, sia fisico che letterario, narrativo se vogliamo, che da San Benedetto attraversando gli Appennini ci porta a incontrare luoghi e persone e le macerie del terremoto”. 

La montagna è finita, perché? Perché questo titolo? 

“Innanzitutto l’idea di fare uno spettacolo parlando, raccontando le comunità dell’Apennino centrale era già nata diciamo prima che succedesse il terremoto, questo è un percorso lungo di ricerca che mi accompagna ormai da otto anni, quindi da prima anche del terremoto. Io voglio parlare di aree interne, di zone interne delle montagne, delle difficoltà e delle problematiche erano già presenti prima del terremoto. Quest’ultimo le ha amplificate, ha peggiorato il trend dello spopolamento, ha peggiorato la mancanza di infrastrutture, e messo in luce l’abbandono da parte delle istituzioni di questi territori. Ecco, La montagna è finita nasce proprio dagli incontri fatti in montagna con tante persone e in qualche modo era un ritornello, una frase che è tornata spesso nelle persone. La montagna è finita è un titolo provocatorio, perché nello spettacolo cerchiamo di non cadere nella trappola della nostalgia, nella consapevolezza che le problematiche enormi che ci sono ci sono sempre state negli ultimi decenni. Nello spettacolo cerchiamo però di dare anche delle possibili risposte, di dare dei messaggi di speranza”.

Ermelindo Bruni: cosa ha rappresentato per te e per il tuo spettacolo?

“Ermelindo Bruni è stato un compagno di viaggio molto importante, che putroppo ci ha lasciati. Era un emigrante di Roccafrulvione, che è un altro comune della montagna marchigiana, emigrato nel 1953 da Casacagnano fino a al Limburgo belga per lavorare nelle miniere. A Roccafrulvione aveva anche appreso l’arte dell’organetto, di suonare l’organetto, era un musicante ed Ermelindo l’ho conosciuto ormai circa due anni fa. L’abbiamo coinvolto portando la sua storia di migrazione, perché la migrazione è una parte della storia della montagna molto importante, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale le montagne sono svuotate, chi è emigrato nelle città più vicine, chi è andato in Belgio, Svizzera, Germania, Brasile, Argentina, Australia…E poi Ermelindo ha portato la musica in scena. Abbiamo voluto portarlo comunque e sempre in scena con noi: la sua storia diventa un documento importante, diventa poesia, diventa musica”. 

Nello spettacolo è molto forte la tensione tra regioni periferiche che stanno vivendo ancora oggi il dramma dello spopolamento e il centro che tutto decide. Un fenomeno che abbiamo visto anche a livello europeo dai risultati del voto per le elezioni europee…

“Assolutamente. La montagna diventa un esempio emblematico a livello universale di tante altre periferie e della loro rabbia a un senso di abbandono cnei confronti di una politica centrale che tutto determina e che detta in qualche modo le linee di come le cose devono andare. È una rivolta contro la burocrazia, che è uno dei maggiori responsabili di come la ricostruzione per esempio stia andando troppo lentamente nelle zone terremotate”.

Ascolta l’intervista integrale al regista Ripani realizzata da Radio Mir

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Redazione
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